Poesie

“CIELI APERTI”

Libro scritto nel 1974
Poesie illustrate con quadri

Selezione

3° concorso di poesia a Roma nel 1977
PRIMO PREMIO ASSOLUTO al concorso Internazionale a Roma (assegno – foto di premiazione su giornale di Roma – medaglia doro).
Critica sulla rivista “ Stanza Letteraria”
– Bianca colomba raffigura la nostra coscienza- 

“La bianca colomba”

Chi uccide la bianca colomba?
Tu, uccidi la bianca colomba!
L’uccidi quando non ascolti la tua coscienza,
quando non guardare le altrui miserie,
quando poni il passo e calpesti quello che non vuoi vedere.
L’uccidi cento volte
Con l’inferto di mille ferite,
con milioni d’aghi trafiggi il suo cuore.
Chi uccide la bianca colomba?
Tu, l’uccidi!
Crudelmente, senza pensare,
al candido petto che sin’intride di rosso sangue!
È vivo quel sangue!
Sgorga inarrestabile,
rende vermiglie le bianche piume,
sono lorde del vermiglio che duole.
Chi uccide la bianca colomba?
L’uccidi tu, ogni giorno un poco,
senza umiltà… pensaci uomo!

E. C

1° concorso di poesia a Roma nel 1975
Menzione d’onore e poesia pubblicata

“Veglia”

Osservo la notte
punteggiata da stelle,
suffusa di chiarore,
sparso da un lume isolato.
Notte blu di cobalto,
sfumato da chiarore lunare
quieta notte,
placida, calma notte,
ove tutto è silenzio.
Osservo muta,
per non sciupare l’attimo,
il meraviglioso attimo di solitudine.
Intenso, immenso silenzio,
tutto dorme… ed io veglio.
Veglio per non sprecare questa notte silenziosa…
il lento trascorrere delle ore,
mondo fatto d’ombra,
proteso all’occhio attento
vivo ove tutto pare spento
provando pace sconosciuta il giorno.
Amo questa notte chiara
lo spazio blu infinito
che mi sovrasta.
Osservo chi dorme
racchiuso nel nido creato
io veglio il suo sonno.
Dolcezza di pensiero mi coglie improvvisa,
per la stellata notte, or solo mia.

E. C.

“Deluso”

Non chiesi di venire in questo mondo,
mi ci ritrovai!
Non ebbi grami anni,
crebbi in fretta,
come pianticella ben curata,
per altri gioia,
orgoglio del mio bell’aspetto…
non mi chiesero se ero contento, mai,
crescevo, vivevo,
non seppi chiedere ciò che volevo,
crebbi come altri vollero:
parenti, amici, conoscenti.
Ma ‘io’ dov’ero?
Dov’era il mio ‘io’ nascosto?
Tutto celato e non tranquillo,
come pareva…
studiai ciò che non seppi mai,
soffocai nella noia di giorni nulli, perduti.
Nel profilarsi della mia vita,
già adulto,
ebbi quel che mi diedero,
forse nemmeno lo volevo.
Avvilito, deluso, stanco,
non fui compreso.
Non chiesi nulla di ciò che volevo.
E poi passò il tempo…
Al fine mi ritrovai troppo deluso…
Tolsi il disturbo.
Non fui compreso neppure ‘dopo’.
Dissero che avevo ‘tutto’.
Quale ‘tutto’ se di ciò che bramavo non avevo nulla?

E. C.

“Lacrime”

Piango tutte le lacrime del mondo,
tutto il mondo piange lacrime amare.
Vorrei asciugare quelle perle radiose,
farne rugiada,
colmare l’infinito,
prosciugare quel mare di tristezza,
trasformarlo in amore,
amore che vada per ogni contrada,
vedere felice le genti vicine e lontane,
cogliere l’allegria,
farne prodiga messe,
sognare dove il sole muore,
condividere quel pane che si getta,
donare sorrisi ove sono pieghe amare.
Al suono di cento chitarre armoniose,
sollevare pulviscolo d’oro,
ove si confondano tutte le miserie,
il mio cuore duole, sgorga lacrime,
lacrime come le cento chitarre scordate,
che non suonano più.

E. C.

“Risorgere”

Adombri il volto all’oscuro pensiero,
che giunge improvviso
e poi guardi nel Cielo
lo svolazzare
delle rondini in volo,
allor l’animo risorge all’evento,
rincorre tra nubi
le rosee chimere
e l’azzurro ricopre
ed ammanta la mente
della cercata pace.

E. C.

‘Il risorgere in se stessi, all’amore per la vita
quando pur s’è persa la smagliante sicurezza che ti dona la giovinezza.’

“Pensieri alla mente”

Non dormire, non vegliare,
essere vivo per il domani
di tutti i domani.
Non pensare,
perché il pensiero non esista.
Non essere nessuno,
per essere ‘tutto’,
non essere Uomo
per essere parte dell’infinito.
Ed allora vagare insoluto
felice d’essere nulla.
__

Adagiare lo sguardo attorno
perdersi nell’infinito,
ritrovarsi e sperdersi
entro il limite
che l’animo intravede.
Spaziare senza chiedere,
udire il mormorio del vento,
volare oltre lo spazio,
dei tempi, ove più non è tempo,
ove la vita non è più vita:
senza principio, senza fine.
Sentirsi immortale
e non vivo per quel giorno solo,
avere l’infinito per cappello,
posare i piedi sul prato inesistente.

E. C.

“Sogni”

Ho sognato di essere sopra un monte,
tutto dominare, vedere, sapere.
Sovra le nubi dei bassi monti,
guardare le cime
tingersi di cilestrino,
o l’improvviso incendiarsi
delle rosate tinte audaci.
Sognare da piccolo Uomo
cose grandi, irreali,
adornarsi di fantasia
dove non vi son scenari.
alla mente ed allo sguardo
declamare idilliaci versi
come immortali poeti.

“La collina”

Ecco la collina vestirsi di nuovo!
Nuovi i verdi germogli
ancora teneri i rami!
Palpitare di foglie.
Erano ignudi gli sterpi,
ora sorgono gemme.
La vita risorge a veste nuova.
Ogni anno un rito, una festa!
Adornasi il cespuglio,
quel piccolo fiore,
apre al cielo la sua corolla.
Piccola, fragile vita,
coraggiosa t’adagi nei prati!
Non temi l’Umana forza.
Tanto piccina
eretta stai nel verde prato
ti bei di frescura,
vivi felice il tuo breve spazio!
Può invidiarti l’uomo,
del tuo piccolo animo
non potrà divenir padrone,
potrà solo schiacciarti con bruta forza,
poi tu risorgerai
più nuova, più vera,
piccola margherita,
occhieggiante nel biondo prato!
O collina sorta a nuovo,
sta in te tutto il Creato.
Fammi sovrano delle tue messe
Bacerò la lacera tua ferita d’ogni solco,
per fondermi con te,
essere tutt’uno creato in te.

E. C.

“Un gabbiano”

Nel declino dell’astro che muore
s’ode il grido del gabbiano isolato.
Abbagliato, sfolgora, nella luce morente,
vivido, alto, nel cielo imbrunito.
Ove vai gabbiano?
Ti libri nell’opaco cielo,
nell’opaco azzurro,
reso cilestrino dal morir dell’astro lucente.
Il tuo richiamo,
a voler rompere
l’incanto di solitudine,
è puro, sublime.
fermo, per l’attimo, il cuore
di chi si sofferma ad udire
il tuo grido solitario.

E. C.

“Un paesaggio”

“Un niente”

Quattro case arroccate sul monte,
quattro fiori nel brullo prato,
un pioppo solitario, smilzo,
sbattute da rabbioso vento,
quadro desolato
di desolata gente.
Occhio nudo che guardi
non vedi altro.
Terra dura dove poni i passi,
passi senza meta.
L’unico pioppo si piega, lassù,
prono, in preghiera.
Prega per la gente fatta di pietra.
Tutto tace… non c’è nulla.
Suona solo una campana…
è lontana… tanto lontana…
il fievole eco non desta, non scuote,
le quattro genti di quel pezzo di terra.

E. C.

“Ritiro”

Oltre la collina,
più avanti,
quei filari d’alberi
a nascondere il bianco muro,
e oltre, il silenzio della preghiera.
Ascolta pellegrino,
che giungi dalla verde valle,
quella pace che invocavi
è sovrana tra quelle mura.
Possederla è di pochi,
sono fratelli che nulla chiedono,
hanno fatto atto d’amore,
hanno scelto la rinuncia,
d’un mondo isolato, immacolato.
Non entrare pellegrino
Se non porti un bianco manto,
sarà vano, inutile il tuo gesto,
il varcare quella soglia.
È in te che devi ritrovare
l’animo intatto dei verdi anni.
Allora, sgombro, la mente chiara,
porrai la mano a quel battente
che suonerà, accogliendoti oltre le mura.
Nel silenzio operoso,
ritroverai la gioia del filo del d’erba,
del rifiorir del fiore,
del candido agnello al pascolo,
alzerai lo sguardo
a spaziare nell’azzurro, nella luce,
e sentirsi l’animo immoto
scevro d’ogni immondo pensiero.
Felicità d’ascolto
del tuo placato ‘io’.
Sarà l’ambito premio
del tuo coraggio
alla rinuncia del peccato.
Accogliete, o bianche mura,
la stanco peccatore,
che, dimentico del dato e dell’avuto,
ora placa la sua sete.

E. C.

“Traguardo”

Dovrò dunque sognare ove i sogni son spenti?
Dovrò camminare per i sentieri incolti?
Dovrò sostare su i rossi picchi inesistenti?
Lacero mi ritroverò alfine,
affranto dal traboccante pensare…
contuso nella mente…
Quale forza potrò mai donare,
alla mia stanca virtù del dare?
Non porrò mente all’avuto,
che ho dipanato, distrutto, (entro me).
Quale velo sollevare?
Il velo della passata noia?
Il velo della forzata modestia?
Il velo voluta dimenticanza?
Tutto si dissolve,
in fantastiche bolle trasparenti,
dove sono racchiuse immagini,
dove l’impossibile è possibile,
dove muore la volontà,
dove vive la libertà.
Dovrò rinunciare al chiarore della luce…
Dovrò versare il sapore del fiele,
al nettare del miele.
Poteva essere buona la vita,
operosa, onesta, gaia, serena,
poteva essere colma d’amore…
tutto ho accettato,
non veduto, non afferrato,
tutto, ora, vedo chiaro,
ora, che sempre è buio.

E. C.

“Sul colle”

Al colle io torno con il pensiero.
Palpita l’animo e sovrasta il vento,
s’accendo d’oro fuso all’intorno,
ascolto l’aria profumata,
dai mille sapori
della terra, dei suoi germogli.
Al colle io torno con spirito nuovo,
di fresco vestito.
Assaporo il fruttare del fiore,
sotto la sferza impetuosa
del brusco vento.
Al colle io torno e giungo con intatto amore,
lieto nel ricordare le tenere erbe,
dei primi svelti passi,
che mi portarono in cima al colle.

E. C.

“Guardando indietro”

Vado a ritroso con il pensiero…
come bel quadro io vedo…
immagini vive del tempo d’ ieri.
Eppure era mio quel tempo!
Tanto lontano mi pare,
passato, passato, passato.
Sfoglia, la mente, le pagine…
tante cose avvenute,
che non ho scordate…
son la mia vita, la giovinezza.
Quella bionda fanciulla,
si bionda, si lesta, si gaia,
senza pensiero, vivente gioiosa,
come la buona festa…
ero ‘io’ ne tempo passato…
quanto lontano, ora, pare!
Ricordo… rivivo me stessa,
come altrui vita
guardo estatica, incredula,
com’ero felice!
Che cosa è mutato?
Quel volto stanco, triste,
che, al presente, io miro
è segno d’un traguardo…
triste traguardo
oltre il quale è il nulla.
Quanto è lunga la tua breve vita?
Pochi anni felici,
somme di ore, di giorni,
poi anni difficili, amari,
ove tutto si scorda
tutto ciò che si è avuto.
Quei quadri animati
Che al momento io osservo,
sono come riflesso
tutto mi pare non vero,
da altri vissuto,
sento grande rimpianto
di cose non dette, non fatte.
O mio tempo intatto d’ieri!
Verde, giovane, puro!
Negli anni miei stanchi ti vedo,
sei libero, sciolto, sicuro,
sì, io ti ho vissuto.

E. C.

“Un tempo lontano”

Un tempo… un tempo lontano,
tu ti vestivi di bianco…
di bianco ammantavi il tuo animo,
di candore splendeva il tuo volto,
sapevi di giglio,
profumavi del suo profumo,
attorno avevi la luce del mondo.
Piano, piano, fu tempo passato,
di bianco più non ti vestivi,
l’animo adulto perse il suo candore.
Sapevi di giglio,
ora sai di rosa.
Del tempo trascorso hai vissuto,
perdendo la luce,
la bianca veste non ti dona candore.
Nella luce del mondo,
ora, tu vedi zone d’ombra.

E. C.

“Una ‘petite’ leggenda”

O Mister Kreih!
Costì vi racconto…
di quel marinaio,
che un dì tornò…
dal mare…
alla sua spiaggia,
al suo casolare.
Era maturo il temporale,
eppure nella sua barca
volle egli andare…
sull’erte onde,
sempre più lontano,
fino a perdersi nell’infinito, nell’orizzonte,
poi nessuno lo vide più.
Lasciava la sua ‘promessa’
in lacrime, in ascolto
del suo ritorno.
Svanì nel nulla
e non si vide più.
Ogni sera,
guardava sul mare,
Chi l’attendeva.
Ombre nere nella notte scura,
occhi fissi all’orizzonte,
cuori in ansia
per quella fragile barca.
Non comparve, non tornò.
La sua ‘promessa’ di nero si vestì,
rimase sola sulla deserta spiaggia,
ogni sera d’ogni dì.
O Mister Kreih!
Era la fede d’una sposa,
che ancor non lo era.
Fu follia disse il mondo,
la guardavano e passavano via,
scotendo il capo.
Lei rimase lì!
Con speranza e fede
e muta fu la sua preghiera.
L’umanità la commiserò,
ma Qualcuno l’ascoltò.
Fissò lo sguardo,
il cuore mancò il suo battito
oscillava un piccolo punto
tra cielo e mare,
parea sospeso alla bassa nuvola,
ma pur ingrandiva,
ecco, il si moveva.

Piano una lacrima
allor scese sull’immoto volto,
un’altra si fermò
sul bagnato ciglio,
un velo confuse l’ombra,
la speranza
di luce s’accese…
O Mister Kreih!
Quello fu premio a si tanta fede,
d’un cuore ancora puro
fatto d’amore e di bene.
Tornò dal mare…
tornò dal nulla…
fu leggenda,
non si comprese mai
la sua fortuna.
Fu storia raccontata
Nei dì di festa
accanto al foco.
Fu vera?
Non si sa!
Ma fu vera la bontà.
Ogni Uomo,
che ancora crede
che ha pur fede,
porta in sé la verità!
O Mister Kreih!

E. C.

“Cacciatore”

Non senti quel piccolo, tenero, battito?
E quando l’avrai tra le mani
ancor palpitante,
ma già spento,
dimmi…
sarai tu fiero di te stesso?

“Il volo”

Posa quel fucile
e mira quel frullio d’ali nel cielo!
Guarda quanto è bello, vivo,
il loro volo!
Non sai udire il loro canto?
Quel librarsi a raggiro,
meraviglioso passaggio,
è la vita!
Freme il cielo di palpitante amore!
Che vuoi Tu fermare
un piccolo, indifeso, cuore?
‘Lui’ t’ha guardato, sfiorato,
senza un pensiero,
anzi, t’ha reso omaggio
del suo saluto festoso e gaio.
Non fermare, o cacciatore, la libertà!

E. C.

“Vivere”

Immobile attendo l’ora,
qui dove tutto è fermo,
qui dove tutto spazia:
lo sguardo, il cielo,
il volo dei gabbiani
sul gelido e grigio mare.
Placido mare, in ascolto del respiro,
profondo come l’immagine che m’avvolge.
Solo, sull’ultima spiaggia,
senza ombra,
ovattata nella leggera nebbia,
offuscata da mille e nulli pensieri
attendo.
Attendo una fine inevitabile,
senza angoscia,
conscia del suo avvicinarsi,
della sua ineluttabile venuta.
Appartengo ad una terra,
ad un mare, ad un cielo,
sono come quel gabbiano
che vola alto.
Tocco i freddi sassi,
sfioro gli spruzzi,
accarezzo le onde,
aspetto senza rimpianto,
mi lascio vivere ove è la vita,
sono un componente di tutto ciò che vedo,
che tocco,
sono nato, vivo, muoio, come tutto.
Accetto questo mio breve passaggio
con felicità e timore
di questa mia vita,
di questa nostra fragile vita
come soffio,
come attimo d’infinito spazio,
respiro e vivo e muoio:
sono stato chiamato Uomo.

E. C.

“A Rossano”

(poesia scritta per l’attore Brazzi)

R.   portasti meco
Sogni poetici di fanciullezza
ancor casti – ancor puri –
Donasti si lievi incanti,
pari a piccolissime gemme,
incastonate nei chiari occhi adolescenti.
R.  nome di dolce fattura,
portato con grazia,
dalla pronuncia si facile al ricordo…
A commiato di anni felici
in quel soave momento
degli anni d’oro.
R.   tu fosti a solerte modello
nella mente di vaghi pensieri,
desti un’epoca di memori ricordi,
che ritornano, a tratti,
a lenire i più severi momenti.

Alcuni pensieri di Ele:

“La vera forza sta nella dolcezza
d’ogni momento.”

“La felicità altrui sarà il tuo pane,
e tu sarai la mensa per chi pane non ha.”

“Inutile professare una fede se non si possiede
un cuore adatto.”

“La vita passa più in fretta
d’un passante frettoloso.”

“Solo l’amore rende immortali
poiché la nostra presenza, in tal caso, è ovunque.”